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Attività di Ricerca |
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L’attività di ricerca è basata su un approccio di tipo sistemistico allo studio di processi di interesse nell’ingegneria di processo e dei relativi fenomeni chimici e fisici. Particolare enfasi è stata posta allo sviluppo e applicazione di metodi matematici per l’analisi, la modellistica, e la simulazione numerica di sistemi rilevanti nell'industria di processo. In questa ottica sono stati esaminati i seguenti campi di applicazione: la reologia di cristalli liquidi polimerici, la modellazione e lo studio di problemi legati al processo di devolatilizzazione di polimeri, la caratterizzazione dinamica di sistemi reagenti complessi, la reologia di miscele di polimeri incompatibili, la modellazione della cristallizzazione indotta dal flusso in fusi polimerici, la caratterizzazione dinamica di reattori operati con forzamenti discontinui, la modellazione dinamica di reattori di steam reforming per la produzione di idrogeno per applicazioni motoristiche. |
Reologia | |
Cristalli liquidi polimerici | |
Blend polimerici | |
Cristallizzazione indotta dal flusso | |
Sospensioni | |
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Modellazione dinamica | |
Autoignizione di cumuli di carbone | |
Reattori per la produzione di ammoniaca | |
Proprietà di simmetria di reattori forzati | |
Reattori per la produzione di idrogeno per applicazioni motoristiche | |
Devolatilizzazione | |
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Reologia di cristalli liquidi polimerici | |
I polimeri a molecola rigida rappresentano una classe di materiali di notevole interesse tecnologico vista la possibilità di produrre manufatti dalle elevate prestazioni meccaniche con densità molto basse. Dal punto di vista della ricerca di base, il comportamento in flusso di tali materiali (reologia) è molto complesso. L’attività di ricerca svolta in questo settore è focalizzata sullo studio dei polimeri "main chain", ovvero polimeri costituiti da macromolecole lineari rigide. Polimeri Main Chain. In alto Poliesterimide, in basso un poliestere aromatico Una macromolecola rigida è caratterizzato da una maggior dimensione rispetto ad molecola flessibile di egual peso molecolare, viene orientata più facilmente, interazioni tra molecole sono imporatanti già a basse concentrazioni, e possono mostrare fasi liquido cristalline. In tale fase le macromolecole tendono ad allinearsi secondo una direzione comune anche in condizioni di quiete, sicché le proprietà ottiche sono simili a quelle di un cristallo mentre le proprietà meccaniche sono quelle di un liquido.. Questo stato di aggregazione è detto nematico. Possibili stati di aggregazione di macromolecole rigide La possibilità di congelare allo stato solido il sistema nematico orientato rende possibile la la produzione di manufatti dalle alte prestazioni meccaniche. Ovviamente, il materiale è processato quando è liquido e le condizioni di flusso hanno rilevanza sulla morfologia. Di conseguenza la conoscenza della reologia del fuso è molto importante. Il La reologia di polimeri in fase liquido cristallina nematica è peculiare, e mostra fenomeni non osservati in altre classi di materiali polimerici. La complessità è essenzialmente dovuta alla anisotropia intrinseca delle molecole, ed alla naturale tendenza di tali sistemi a sviluppare "texture". La modellazione del comportamento reologico di polimeri in fase liquido cristallina è basata su un approccio di tipo microreologico. Il materiale è descritto modellando il comportamento dinamico delle molecole e quindi ricostruendo gli osservabili macroscopici con opportune medie. I polimeri rigidi sono stati modellati con il modello molecolare “a bacchetta rigida” sviluppato da Hess e Doi verso la fine degli anni settanta. Tale modello tratta le macromolecole come delle bacchette perfettamente rigide. Un campione statistico di bacchette è descritto da una funzione di distribuzione delle orientazioni, la cui dinamica è regolata da una equazione di continuità. Tale equazione differenziale a derivate parziali è costruita considerando come possibili cause di variazione della funzione di distribuzione l’agitazione termica delle macromolecole, il campo orientante liquido cristallino, ed il flusso macroscopico. I risultati più significativi sono stati ottenuti simulando il modello in condizioni tali da poter trascurare la possibile variazione spaziale della funzione di distribuzione, ovvero si è considerato un sistema spazialmente omogeneo (il cosiddetto monodominio). La conoscenza della funzione di distribuzione permette di risalire al tensore degli sforzi interni, e quindi alla risposta reologica del campione. Tale risposta si compone di due contributi: uno legato alla tendenza della funzione di distribuzione a recuperare la sua configurazione di equilibrio che rappresenta il cosiddetto contributo elastico allo sforzo; l’altro dovuto alla inestensibilità delle macromolecole, ovvero lo sforzo viscoso che nasce per effetto del moto relativo tra la macromolecola ed il mezzo circostante. Lo studio del modello a sbarretta rigida ha permesso di chiarire e confermare una serie di risultati sperimentali peculiari di fasi liquido cristalline polimeriche come ad esempio l’esistenza di regioni di velocità di deformazione in cui la prima differenza di sforzi normali assume valori negativi, il comportamento oscillante dei transitori degli sforzi, il comportamento “shear thinning” di tali materiali ad alte velocità di deformazione. Le previsioni del modello sono ottenute integrando l’equazione di continuità per la funzione di distribuzione orientazionale. Tale equazione è una equazione differenziale a derivate parziali non lineare, e l’integrazione risulta particolarmente onerosa anche per flussi non troppo complessi. Una possibile alternativa a tale procedura è l’applicazione di una tecnica matematica di chiusura che riduce il modello ad un sistema di equazioni differenziali ordinarie le cui incognite sono le sole componenti del tensore d’ordine necessarie alla previsione degli sforzi. Tale tecnica si basa sull’introduzione di una approssimazione di chiusura il cui effetto sulla capacità del modello semplificato di conservare le previsioni del modello “esatto” è determinante. Sono state sviluppate alcune chiusure che permettono di ottenere modelli semplificati con previsioni simili al comportamento previsto dal modello “esatto”. La costruzione
di approssimazioni di chiusura ha, tra l’altro, rappresentato
uno stimolo allo sviluppo di analisi basate sulla teoria della biforcazione
per la caratterizzazione del modello “esatto” e delle sue
semplificazioni. Il modello ottenuto attraverso la semplificazione del
modello a sbarretta rigida deve sperabilmente preservare le buone capacità
predittive di quest’ultimo. Le soluzioni di regime del modello
“esatto” variano qualitativamente al variare del valore
dei parametri fisici in esso contenuti. Per esempio, nel caso di flusso
di taglio al variare della velocità di deformazione si può
osservare il passaggio da un comportamento di regime di tipo periodico
ad un comportamento di tipo stazionario al crescere della velocità
di deformazione. Il passaggio da un tipo di soluzione all’altro
avviene per un certo valore critico della velocità di deformazione,
e nel gergo dei sistemi dinamici, si dice che in corrispondenza di tale
valore sta avendo luogo una biforcazione. Una proprietà che caratterizza
un modello è, quindi, il suo diagramma di biforcazioni, ovvero
la suddivisione dello spazio dei parametri in regioni caratterizzate
da un comportamento asintotico qualitativamente simile. Il diagramma
di biforcazione del modello può essere considerato come una proprietà
che modelli semplificati devono preservare per poter essere considerati
accettabili. La caratterizzazione del modello “esatto” è
stata effettuata espandendo la funzione di distribuzione in serie funzioni
ortogonali (serie di Fourier nel caso bidimensionale, serie di armoniche
sferiche nel caso tridimensionale) ed applicando alla equazione di diffusione
una procedura alla Galerkin. Lequazione a derivate parziali viene quindi
ridotta ad un sistema di equazioni differenziali ordinarie. Il modello
così modificato è stato studiato con un algoritmo di continuazione
parametrica. Questo tipo di algoritmo è in grado, partendo da
una soluzione di regime nota, di ricostruire il suo diagramma di biforcazione.
L’applicazione di tale analisi ha permesso di caratterizzare il
modello “esatto”. Una analisi similare è stata condotta
anche su i cosiddetti modelli semplificati (val la pena sottolineare
che i modelli semplificati sono costituiti da un ridotto numero di equazioni
differenziali ordinarie, numero molto minore di quelle cui si perviene
applicando la tecnica alla Galerkin al modello “esatto”).
Il confronto tra il diagramma di biforcazione del modello “esatto”
e quelli ottenuti con modelli semplificati ha mostrato che non esiste
ancora un modello semplificato in grado di preservare la struttura del
modello “esatto” nell’intero spazio dei parametri,
piuttosto è possibile individuare regioni di tale spazio in cui
alcuni modelli semplificati si comportano accettabilmente. Cascata di Period Doublings. Orbite sulla sfera unitaria dell'orientazione media del campione sottoposto a flussi di taglio via via crescente |
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Reologia di blend polimerici immiscibili | |
Un modo economicamente vantaggioso per produrre materiali plastici ad alte prestazioni è la miscelazione di polimeri incompatibili dalle opportune proprietà. Le caratteristiche meccaniche del manufatto dipendono non solo dalle proprietà dei costituenti, ma anche dalla morfologia della miscela. Anche le proprietà reologiche sono influenzate dalla morfologia, e durante la processazione allo stato fuso il flusso determina una variazione della morfologia. Quando il blend è sufficientemente diluito può essere individuata una fase formata da gocce disperse all’interno di una matrice continua. In tali condizioni la risposta reologica è dominata da effetti legati alla deformazione delle gocce. Dati sperimentali mostrano che gocce, di forma sferica in quiete, divengono essenzialmente ellissoidali quando sottoposte ad un flusso viscoso. Sulla base di tale evidenza è stato sviluppato un modello fenomenologico in grado di descrivere l’evoluzione dinamica di gocce ellissoidali. Il modello è stato inizialmente sviluppato per trattare gocce Newtoniane immerse in un liquido Newtoniano di eguale densità. Esso si basa sull’ipotesi che la goccia, sferica in condizioni di quiete, si deformi in flusso mantenedo sempre una forma ellissoidale. La goccia è descritta da un tensore simmetrico del secondo ordine e positivo definito. La goccia si deforma per effetto del flusso viscoso ma resiste alla deformazione per effetto della tensione interfacciale che tende a riportarla alla forma sferica. Il modello assume che questi due effetti si compongano linearmente. Le previsioni sono in ottimo accordo con i risultati sperimentali per una varietà di condizioni di flusso. L’accordo è eccellente sia in condizioni stazionarie sia in condizioni dinamiche.
Schema della goccia e confronto con dati sperimentali in flusso di taglio Le previsioni di tale modello possono essere poi utilizzate per la previsione degli sforzi che si determinano in miscele diluite di polimeri incompatibili. In tali condizioni infatti, la popolazione di gocce può essere descritta con sufficiente accuratezza da una goccia media equivalente. Quindi, sulla base della teoria in origine sviluppata da Batchelor, il tensore degli sforzi può essere calcolato una volta nota la morfologia della goccia equivalente. Le previsioni della prima differenza degli sforzi normali così ottenuta risulta in ottimo accordo con i risultati sperimentali. Recentemente, il modello è stato modificato in modo da poter descrivere sistemi in cui una delle fasi o entrambe possono essere viscoelastiche. Anche in questo caso il modello è stato validato con dati sperimentali, ed il confronto con questi ha mostrato le ottime capacità predittive per le previsioni stazionarie. Il confronto con i pochi dati sperimentali transitori ha dato invece risultati meno convincenti. |
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Modellazione della cristallizzazione indotta dal flusso in polimeri semicristallini | |
Il flusso facilita la cristallizzazione di fusi polimerici semicristallini. Nell’approccio termodinamico classico la velocità di nucleazione in condizioni quiescenti dipende dalla differenza di energia libera tra la fase amorfa e quella cristallina. L’effetto del flusso sulla cinetica di nucleazione può essere descritto considerando che l’incremento di ordine dovuto al flusso determina una variazione dell’energia libera del fuso. Storicamente, allo scopo di calcolare tale variazione sono stati elaborati vari tipi di modelli. Quelli di tipo “molecolare” hanno progressivamente soppiantato i modelli basati sulla classica teoria dell’elasticità delle gomme. La ricerca è un tentativo di descrivere la cristallizzazione indotta dal flusso mediante il modello di Doi ed Edwards (con IAA). La scelta del modello DE si giustifica con il successo di tale modello nella descrizione del comportamento reologico di fusi ad alto peso molecolare. Inoltre, esso sembra possedere gli elementi fisici necessari per la descrizione del processo di cristallizzazione indotta dal flusso (FIC). Infatti, la presenza del campo di moto ha due diversi effetti sulle catene polimeriche: uno orientazionale dato che i segmenti molecolari tendono ad allinearsi alla direzione preferenziale imposta dal flusso, e l’altro conformazionale derivante dallo “stretching” della macromolecola dovuto al flusso. In flussi lenti, ovvero quando la velocità di deformazione è minore dell’inverso del tempo di Rouse, l’effetto di orientazione è predominante. In tali condizioni, infatti, l’allungamento delle macromolecole è del tutto trascurabile. D’altra parte, i risultati sperimentali mostrano che anche piccoli gradienti di deformazione incrementano notevolmente la velocità di cristallizzazione. Ciò suggerisce, quindi, che l’effetto di orientazione delle catene sia sufficiente a giustificare tale incremento. Tale evidenza sorregge la scelta del modello DE-IAA che prevede che il flusso comporti solo effetti orientazionali. La descrizione proposta del fuso in fase di incipiente cristallizzazione rappresenta un netto miglioramento rispetto ai modelli di tipo dumbbell finora proposti. Infatti, il confronto con dati sperimentali di tempo di induzione effettuato usando il solo tempo di rilassamento del materiale come parametro di fitting ha mostrato risultati molto soddisfacenti. |
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Reologia di sospensioni di sfere rigide in liquidi viscoelastici | |
LAVORI IN CORSO |
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Dinamica dell'autoignizione di cumuli di carbone | |
Il problema dell’autoignizione di pile di carbone è significativo per le implicazioni relative a problemi di sicurezza, e, dal punto di vista scientifico, per la notevole complessità teorica. Un cumulo di carbone autoignisce quando la combustione del carbone con l’ossigeno presente nell’atmosfera genera calore che non viene efficientemente rimosso verso l’ambiente esterno. Il calore prodotto determina la formazione di gradienti di temperatura all’interno del cumulo, sicchè esiste un forza spingente per l’innesco di fenomeni di convezione naturale. D’altra parte la convezione naturale gioca un ruolo importante perché richiamando aria fresca all’interno del cumulo da una parte fornisce ulteriore reagente dall’altra determina il raffreddamento del carbone.
Il problema della autoignizione è stato studiato modellando i
tre trasporti di materia, di calore e di quantità di moto. Il
modello è stato analizzato approfondendo gli aspetti dinamici.
Tale analisi è stata condotta utilizzando diversi strumenti numerici:
continuazione parametrica, simulazione, studio a posteriori della serie
temporale generata dalle simulazione per la caratterizzazione dinamica.
Con il metodo di continuazione congiuntamente allo studio simulativo
si è potuto concludere che in alcune regioni dello spazio dei
parametri il modello prevede l’istaurarsi di condizioni dinamiche
aperiodiche. Tale situazione si determina attraverso una cascata di
biforcazioni di raddoppio di periodo. La caratterizzazione delle serie
temporali, ossia la determinazioni di proprietà come lo spettro
di potenza la dimensione dell’attrattore e gli esponenti di Lyapunov,
ha permesso di verificare che effettivamente le condizioni che si determinano
sono aperiodiche. |
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Dinamica di reattori per la produzione dell'ammoniaca | |
Recentemente, Morud and Skogestad (1998) hanno spiegato il verificarsi di un incidente in un reattore per la produzione dell’ammoniaca come conseguenza di un improvvisa diminuzione della pressione nel reattore. A seguito di tale fenomeno si aveva l’istaurarsi di oscillazioni sostenute nel reattore ed il suo susseguente spegnimento. Partendo da tale lavoro, è stata sviluppata una analisi dinamica completa del modello del reattore essenzialmente basata sulla continuazione parametrica. Tale analisi ha permesso di evidenziare la presenza di multistabilità ed isteresi. In particolare la conoscenza del comportamento isteretico, sia statico che dinamico, permette di poter formulare una politica di controllo in grado di evitare lo spegnimento del reattore.
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Proprietà di simmetria di sistemi di reattori forzati | |
Vi è
un crescente interesse nella letteratura scientifica su sistemi operati
con forzamenti periodici. L’applicazione di tali forzamenti sembra
infatti avere effetti benefici (in termini di resa, selattività,
etc.) in molti processi che coinvolgono reazioni catalizzate eterogeneamente.
I regimi periodici possono essere indotti in vari modi: si può
modulare una o più variabili in ingresso, oppure il reattore
può essere forzato discontinuamente invertendo periodicamente
la direzione del flusso, oppure, nel caso di reti di reattori, si può
permutare ciclicamente la posizione della alimentazione e dello scarico.
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Modellazione dinamica di reattori per la produzione di idrogeno per applicazioni motoristiche | |
Una cella
a combustibile è un apparecchio elettrochimico che converte energia
chimica in energia elattrica. Sottoprodotti di tale operazione sono
semplicemente acqua e calore. Questi apparecchi sono molto efficienti
e puliti. Ovviamente, l’implementazione di tali apparecchiature
nell’industria motoristica è attraente dal momento che
un autoveicolo dotato di celle a combustibile può facilmente
soddisfare i regolamenti che impongono emissioni poco inquinanti.
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Devolatilizzazione di polimeri | |
Il processo mediante il quale vengono rimossi composti volatili dal seno di una soluzione polimerica è detto devolatilizzazione. Questa operazione rappresenta un importante stadio della lavorazione dei materiali polimerici, tanto è vero che tutti i polimeri vengono devolatilizzati almeno una volta durante la loro storia di processazione. Tale processo è stato oggetto della mia tesi di dottorato di ricerca. Durante il dottorato, ho svolto un periodo di perfezionamento all’estero il Dept. of Chemical Engineering dell’Università del Delaware sotto la guida del Prof. C.D. Denson. Questo periodo è stato dedicato allo studio sperimentale della fluidodinamica di estrusori bivite, un apparato comunemente utilizzato per la devolatilizzazione di polimeri. L’attività sperimentale svolta presso il Dept. of Chemical Engineering del Delaware è stata indirizzata allo studio del fenomeno dell’intrappolamento di gas nel seno di fasi liquide polimeriche in estrusori bivite ingranati che lavorano con parte dei canali parzialmente pieni di liquido. Tale ricerca ha per la prima volta approfondito il fenomeno dell’intrappolamento in estrusori, eserciti in condizioni fluidodinamiche che tipicamente si incontrano nell’operazione di devolatilizzazione. L’intrappolamento dinamico di gas in un liquido può aver luogo ogni qual volta una superficie solida entra in un liquido in presenza di un gas, ovvero quando si ha una linea di contatto dinamica tra più fasi (si può infatti avere intrappolamento anche quando un liquido entra in un altro liquido). Questa condizione fluidodinamica è abbastanza frequente quando l’estrusore, come nel caso della devolatilizzazione, lavora con parte dei canali parzialmente riempiti di liquido. L’intrappolamento è un fenomeno locale che ha luogo quando alcune condizioni critiche vengono superate. Utilizzando tecniche ottiche, e sfruttando la trasparenza dell’involucro (barrel) dell’estrusore è stato possibile determinare che l’intrappolamento dinamico è un fenomeno che si verifica nelle normali condizioni operative, e la fenomenologia ricalca quella osservata in geometrie più semplici da altri ricercatori. E’ stato inoltre possibile determinare l’influenza delle condizioni fluidodinamiche che si realizzano all’interno degli estrusori sulla quantità di aria intrappolata . Parte centrale della tesi di dottorato è stato lo studio di un processo innovativo di devolatilizzazione denominato devolatilizzazione in fessura. La soluzione da degasare viene alimentata a scambiatori di calore (costituiti da una moltitudine di fessure riscaldate) al cui sbocco è applicato il vuoto. Con tale processo è possibile ottenere una buona separazione (dal 50% in peso alle centinaia di ppm) ed è quindi utilizzato come unico stadio di devolatilizzazione. Tale processo è particolarmente attraente dal punto di vista tecnologico perché garantisce una bassa degradazione meccanica e termica del polimero (le velocità di deformazione sono basse, ed il tempo di residenza della soluzione ad alte temperature è breve). In tale ambito sono state svolte alcune analisi sperimentali ed è stato costruito un modello teorico in grado di prevedere qualitativamente i risultati osservati sperimentalmente. La modellazione di un devolatilizzatore a fessure è stata svolta assumendo che all’interno delle fessure si determinino condizioni stazionarie. Il modello è perciò in grado di descrivere adeguatamente i valori medi nel tempo delle variabili di interesse. Il modello sviluppato è monodimensionale, ovvero tutte le quantità considerate variano soltanto lungo l’asse della fessura e sono uniformi nello spessore. L’analisi è stata effettuata trascurando tutti i dettagli che si reputavano non avere un effetto dominante sul fenomeno investigato. Inoltre, l’unico parametro aggiustabile è stato introdotto in modo tale che il confronto con i dati sperimentali fosse un severo esame della fondatezza delle idee su cui si basava il modello. Durante la devolatilizzazione hanno luogo tre fenomeni interagenti: trasporto di quantità di moto, trasporto di calore e trasporto di materia. Tutti e tre tali fenomeni sono stati opportunamente modellati, ed è significativo sottolineare che l’importanza del trasporto di calore (aspetto generalmente trascurato nell’analisi dei processi di devolatilizzazione) risulta determinante nella descrizione della devolatilizzazione in fessura. I risultati ottenuti nel limite di basse portate sono in discreto accordo con i dati sperimentali ottenuti con la fessura singola. Un aspetto
importante della devolatilizzazione in fessura è la necessità
di utilizzare industrialmente apparecchiature dotate di un gran numero
di fessure che lavorano in parallelo. Mentre nel caso di una singola
fessura qualunque sia la portata alimentata, le condizioni fluidodinamiche
che si determinano sono sempre stabili, nel caso di una apparecchiatura
a multifessura ciò non è vero. Infatti può darsi
il caso che, dipendentemente dalla portata alimentata all’apparecchiatura,
non tutte le fessure lavorino nelle medesime condizioni. Tale condizione
può essere detta instabile. L’analisi della stabilità
di un sistema a multifessura stata affrontata estendendo il modello
monodimensionale introducendo l’ipotesi di basse portate, e scrivendo
il bilancio di calore in termini bidimensionali. Tale analisi ha mostrato
che esiste un campo di portate in cui l’apparecchiatura funziona
in condizioni non stabili, d’altra parte l’analisi svolta
permette anche di stimare la massima portata operabile in condizioni
stabili. |
Ultima modifica: 07/06/08 | ![]() |