I luoghi dei Borbone

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Il palazzo reale di Napoli

Il Palazzo Reale di Napoli, una delle quattro residenze borboniche principali, era stato commissionato nel 1600 dal viceré spagnolo Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos, all'architetto Domenico Fontana, tra i più famosi del tempo. Esso, nelle intenzioni del viceré, avrebbe dovuto ospitare il re Filippo III di Spagna, atteso a Napoli per una visita ufficiale, che peraltro non ebbe mai luogo. Il palazzo divenne successivamente residenza dei viceré spagnoli e poi di quelli austriaci, e, in seguito, dei Borbone.

Il corpo del Palazzo, originariamente quadrato, fu ampliato un secolo dopo con il cosiddetto Braccio Nuovo, voluto da Carlo di Borbone (VII di Napoli, poi III di Spagna). Nell'Ottocento, dopo un incendio, Ferdinando II diede luogo a radicali lavori di sistemazione del Palazzo Reale: i restauri, condotti dall'architetto Gaetano Genovese, ampliarono ed armonizzarono l'antico edificio, senza mutarne in modo sostanziale la struttura, ma conferendogli un'impronta architettonica unitaria e coerente. Furono realizzate a quel tempo l'Ala delle Feste ed una nuova facciata verso il mare, sostenuta da un alto basamento a bugnato, ed una torre-belvedere.

I varchi della facciata sul Largo di Palazzo, a seguito del verificarsi di dissesti statici del fabbricato, furono nella seconda metà del ‘700 alternativamente chiusi dal Vanvitelli per conferire maggiore solidità strutturale all’edificio. Alle arcate chiuse fu data forma di grandi nicchie, nelle quali successivamente Umberto I, alla fine dell’Ottocento, fece collocare le  statue dei Re fondatori delle dinastie che avevano regnato su Napoli (Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d'Angiò, Alfonso I d'Aragona, Carlo V d'Asburgo, Carlo di Borbone, Gioacchino Murat, Vittorio Emanuele II di Savoia). Al centro della facciata compaiono gli stemmi reali e vicereali, mentre sotto il balcone di parata campeggia lo stemma dei Savoia.


 


La reggia di Capodimonte

Nel 1738 Carlo di Borbone affidò ad Angelo Carasale, Giovanni Antonio Medrano ed Antonio Canevari i lavori per la costruzione dell'edificio, inizialmente previsto come casino di caccia, che divenne successivamente museo ed infine l'attuale Reggia di Capodimonte. Solo in un secondo tempo il re decise infatti di trasformare il progetto iniziale in un palazzo che potesse ospitare le celebri collezioni d'arte dei Farnese, ereditate dalla madre Elisabetta.

I lavori, iniziati nel 1738, proseguirono a rilento per circa un secolo, anche a causa delle difficoltà di trasporto del piperno dalle cave di Pianura; nel 1758 una parte della Reggia fu aperta e vi fu sistemata la collezione Farnese. Due anni dopo Ferdinando IV affidò poi all'architetto Ferdinando Fuga l'ampliamento della Reggia e la sistemazione del parco.

Nel 1787 Jakob Philipp Hackert, pittore di corte, suggerì l'istituzione nel Museo di un laboratorio di restauro dei dipinti. Durante la rivoluzione del 1799 il Palazzo fu peraltro occupato dalle truppe francesi, e le raccolte d’arte furono ampiamente saccheggiate e trasportate a Parigi.

Nel successivo decennio francese la Reggia fu privata della sua funzione museale per acquisire esclusiva destinazione residenziale, divenendo residenza di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat: gli ambienti del Palazzo vennero arredati e allestiti per ospitare i nuovi sovrani, e tutti gli oggetti d'arte furono trasferiti nel Palazzo degli Studi, dopo la restaurazione Real Museo Borbonico, oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Dopo il ritorno di Ferdinando IV nel 1815, la reggia proseguì nella sua funzione residenziale, e si intrapresero nuovi lavori nel palazzo e nel parco.  Nel 1825 Francesco I affidò una serie di nuove opere ad Antonio Niccolini: tra il 1826 e il 1836 fu realizzato lo scalone monumentale che dal Tondo sale a Capodimonte, e nel 1828 edificata la Palazzina dei Principi, destinata ad abitazione dei membri della famiglia reale, circondata da un giardino botanico. Negli stessi anni il Niccolini progettò l’assetto e la decorazione del Salone da ballo e del Salottino pompeiano. Nel 1832 Ferdinando II affidò poi allo stesso Niccolini ed a Tommaso Giordano nuovi importanti interventi architettonici, tra i quali il completamento dell'edificio sul lato settentrionale, il rivestimento delle facciate e dei cortili, gli apparati decorativi del palazzo, il completamento della bella scala esagonale, lo scalone monumentale per consentire l'accesso al piano nobile.

Completata finalmente la Reggia, a partire dal 1840, su proposta del ministro Nicola Santangelo, venne ospitata nei suoi ambienti una pinacoteca d’arte contemporanea, caratterizzata dalla presenza di una galleria di ritratti della famiglia reale, dipinti di artisti italiani neoclassici e opere di pittori napoletani.

 


La reggia di Caserta

Anche il Palazzo reale di Caserta, come la Reggia di Capodimonte, fu voluto da Carlo III di Borbone, il quale, desiderando che la sua capitale ed il suo regno disponessero di una degna sede di rappresentanza, volle che venisse costruita una Reggia di bellezza e sfarzo tali da reggere il confronto con quella di Versailles, ritenuta la più bella dimora reale d'Europa.

Carlo si rivolse per la progettazione all'architetto Luigi Vanvitelli, ed acquistò l'area necessaria dal duca Michelangelo Gaetani, pagandola una cifra elevatissima.

Il Re chiese al Vanvitelli che il progetto comprendesse, oltre al palazzo, un grande parco ed una corrispondente sistemazione dell'area urbana circostante, prevedendo anche la realizzazione di un acquedotto che attraversasse l'annesso complesso di San Leucio. Il progetto della Reggia si inquadrava in un più ampio piano politico di Carlo, che avrebbe voluto spostare le strutture amministrative dello Stato a Caserta, collegandola alla capitale Napoli con un vialone monumentale rettilineo lungo oltre 20 km.

Nel 1751 Vanvitelli sottopose al Re per l'approvazione il progetto definitivo; due mesi dopo, il 20 gennaio 1752, genetliaco del re, nel corso di una solenne cerimonia alla presenza della famiglia reale, con squadroni di cavalleggeri e di dragoni che segnavano il perimetro dell'edificio, fu posta la prima pietra dell'edificio.

L'anno dopo, quando i lavori della reggia erano già a buon punto, venne iniziata la realizzazione del parco. I lavori durarono peraltro complessivamente molti anni, ed alcuni dettagli previsti dal progetto di Vanvitelli rimasero incompiuti: nel 1759, infatti, Carlo era salito al trono di Spagna, lasciando Napoli per Madrid, ed i suoi successori (Ferdinando IV, Gioacchino Murat, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II) non ne condivisero l'entusiasmo per la Reggia di Caserta. Inoltre, nel 1773 morì Luigi Vanvitelli, al quale successe nella direzione e realizzazione delle opere il figlio Carlo: questi, anch'egli eccellente architetto, ma meno estroso del padre, trovò notevoli difficoltà a compiere l'opera secondo il progetto paterno.

La reggia, ultima grande realizzazione del Barocco italiano, fu terminata nel 1780; essa ricopre un'area di oltre 47.000 mq, comprende 1200 stanze ed è illuminata da 1790 finestre; nel lato meridionale è lunga 249 metri ed alta 38, ed è decorata con dodici colonne. La facciata principale presenta invece 26 colonne poste fra una finestra e l'altra. Magnifici lo scalone reale e la Sala del Trono, dove il re riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali ed amministrava la giustizia; ivi si tenevano anche i fastosi balli di corte.

Il parco della reggia si estende per tre chilometri di lunghezza in direzione Sud-Nord su oltre 120 ettari di superficie. Notevoli le suggestive fontane ed i giochi d'acqua, il Giardino all'italiana con la Peschiera Grande e la Castelluccia, ed in particolare il suggestivo Giardino all'inglese, realizzato da John Andrea Graefer e voluto da Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV, per suggerimento di lord Acton.

Le fontane del parco sono alimentate dall'Acquedotto Carolino, inaugurato nel 1762 da Ferdinando IV; quest'opera, che attinge l'acqua a 41 km di distanza, è per la maggior parte costruita in gallerie, che attraversano 6 rilievi montuosi, e comprende 3 viadotti, tra i quali il più imponente è quello realizzato a Maddaloni, in stile e tecnica romana, denominato Ponti della Valle, di 60 metri di altezza e 528 metri di lunghezza.

 


La reggia di Portici

Carlo e Maria Amalia, in visita presso la villa di Portici del duca d'Elbouf, furono impressionati dall'amenità del luogo, e decisero di farvi costruire un palazzo che potesse ospitarli come dimora ufficiale.

I lavori ebbero inizio nel 1738 su progetto commissionato ad Antonio Canevari, richiamato in Italia proprio da Carlo di Borbone per dare seguito, assieme ad altri architetti di fama dell'epoca, al suo notevole programma di opere pubbliche e di rappresentanza nel Regno.

Alcuni palazzi nobiliari preesistenti, espropriati dal Re, costituirono la base architettonica per la realizzazione della Reggia; ciò comportò anche una serie di opere di scavo che condussero al ritrovamento di numerose opere d'arte archeologiche, che furono temporaneamente sistemate in un museo allestito per l'occasione; ebbe così inizio il Museo di Portici, annesso alla Accademia Ercolanese, con i reperti provenienti dagli Scavi archeologici di Ercolano.

La realizzazione del nuovo palazzo reale stimolò la costruzione di numerose altre dimore nobiliari nelle immediate vicinanze: sorsero così le celebri Ville Vesuviane del Miglio d'oro, nate al fine di ospitare la corte reale che non poteva trovare spazio nella reggia di Portici, di relativamente piccole dimensioni.

Gioacchino Murat provvide ad arredare ex-novo la reggia con lussuoso mobilio francese, mentre, sotto Ferdinando II, la reggia ospitò anche il pontefice Pio IX, per divenire poi progressivamente un sito sempre meno frequentato col passare del tempo.

La reggia presenta un'ampia e maestosa facciata terrazzata, munita di balaustre, a pianta quadrangolare, e nel grande cortile,  simile ad un vero e proprio piazzale, sono situate la Caserma delle Guardie Reali e la Cappella Palatina del 1749, mentre un imponente scalone conduce dal vestibolo al primo piano, dove si trova l'appartamento di Carolina Bonaparte.

Di grande rilievo il salottino Luigi XIV e il boudoir della regina Maria Amalia di Sassonia, con le pareti decorate in porcellana di Capodimonte.

Nel vastissimo parco della reggia ampi viali contornati di giardini all'inglese fanno da sfondo a numerose opere d'arte, tra cui vanno annoverate la Fontana delle Sirene, il Chiosco di Re Carlo, la Fontana dei Cigni ed un anfiteatro. All'interno di esso fu anche allestito uno zoo con animali esotici che Ferdinando IV fece giungere dall'estero.

 


Il belvedere di San Leucio

Il Palazzo del Belvedere di San Leucio era in origine un casino di caccia dei conti Acquaviva di Caserta. Quando nel 1750 i possedimenti degli Acquaviva passarono ai Borbone, San Leucio divenne sede delle seterie reali; Carlo di Borbone, in accordo con il ministro Bernardo Tanucci, decise allora di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia ad apprendere l'arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali.

Venne così costituita nel 1778 una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statuto che stabiliva leggi e regole particolari valide solo per questa comunità. I lavoratori delle seterie usufruivano, infatti, di diversi benefici: una casa all'interno della colonia, formazione gratuita, la prima scuola dell'obbligo d'Italia con discipline professionali, orari di lavoro ridotti rispetto alla media dei lavoratori del tempo.

Le abitazioni furono progettate tenendo presenti tutte le più moderne teorie  urbanistiche e tecniche costruttive dell'epoca (sono ancora oggi abitate), e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Le donne della comunità ricevevano una dote dal re per sposare membri della colonia, ed era stata creata una cassa comune "di carità", dove ogni lavoratore versava una parte dei propri guadagni. Uomo e donna godevano di totale parità in un sistema sociale fondato esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata e garantita l'assistenza agli anziani e agli infermi.

Quello di San Leucio fu un esperimento sociale di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale unico nelle nazioni del XVIII secolo, e mai più ripetuto, neanche nelle successive rivoluzioni francese e marxista.

Ferdinando IV, in particolare, ebbe molto a cuore la colonia, e progettò di ampliarla notevolmente, anche per le nuove esigenze industriali dovute all'introduzione della trattura della seta; il Re si proponeva inoltre la costruzione di una nuova città a pianta completamente circolare, con un sistema stradale radiale ed una piazza al centro. A causa della dalla rivoluzione del 1799, Ferdinando IV non riuscì del tutto nel suo intento, ma nei quartieri annessi al Belvedere mise comunque in atto un codice di leggi sociali particolarmente avanzate. Tuttavia, durante il successivo periodo francese, San Leucio ebbe comunque un ulteriore significativo sviluppo industriale.

In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne poi accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra i quali anche il Palazzo del Belvedere.


Il casino del Fusaro

La Casina Vanvitelliana è un bellissimo e suggestivo casino di caccia ubicato su un'isoletta del Lago Fusaro, nel comune di Bacoli.

A partire dal 1752 l'area del Fusaro, all'epoca scarsamente abitata, divenne riserva di caccia e pesca dei Borbone, che affidarono a Luigi Vanvitelli le prime opere per la trasformazione del luogo.

Salito al trono Ferdinando IV, gli interventi furono completati da Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, che nel 1782 realizzò il Casino Reale di Caccia sul lago, a breve distanza dalla riva.

Questo edificio, noto come Casina Vanvitelliana, fu adibito anche a residenza di ospiti illustri del Regno: vi soggiornarono tra gli altri Francesco II, imperatore del Sacro Romano Impero, Wolfgang Amadeus Mozart, Gioacchino Rossini e, in tempi recenti, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Dal punto di vista architettonico, la Casina può essere considerata una delle più raffinate realizzazioni del '700; essa presenta alcuni punti di contatto con la bella Palazzina di caccia di Stupinigi, progettata alcuni anni prima da Filippo Juvara, facendo ricorso a volumi plastici e ampie vetrate.

L'edificio presenta una pianta assai articolata, composta da tre corpi ottagonali che si intersecano l'uno alla sommità dell'altro, restringendosi in una sorta di pagoda, con grandi finestre disposte su due livelli; un lungo pontile in legno collega la Casina alla sponda del lago.


La reale tenuta di Carditello

La Reale tenuta di Carditello era costituita da una vasta parte, parzialmente paludosa ed acquitrinosa, della pianura delimitata a settentrione dal Volturno, ad oriente dal monte Tifata, a meridione dall'antico fiume Clanio (oggi Regi Lagni), e ad occidente dal mar Tirreno. Si trattava di una grande tenuta ricca di boschi, pascoli e terreni seminatori, che si estendeva su di una superficie di circa 6.300 moggia, corrispondenti a circa 2.100 ettari.

La tenuta ospitava un'efficiente azienda agricola, ben progettata nelle infrastrutture edili, specializzata negli allevamenti di pregiate razze equine, nonché nella produzione e commercializzazione di prodotti agricoli e caseari.

Il complesso architettonico detto Reggia di Carditello, in stile neoclassico sobrio ed elegante, che si colloca a metà strada tra Napoli e Caserta, fu  destinato da Carlo di Borbone a sito di caccia e luogo per l'allevamento di cavalli; esso fu  successivamente trasformato, per volontà di Ferdinando IV, in una fattoria modello per la coltivazione del grano e l'allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini.

Carditello era uno dei siti reali che si fregiava del titolo di "Reale Delizia" perché, nonostante la sua funzione di azienda, offriva una piacevole permanenza al re e alla sua corte per le particolari battute di caccia che i numerosi boschi ricchi di selvaggina permettevano.

Il fabbricato è dovuto all'architetto Francesco Collecini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli. L'area antistante, formata da una pista in terra battuta che richiama la forma dei circhi romani, abbellita con fontane, obelischi ed un tempietto circolare dalle forme classicheggianti, era destinata a pista per cavalli.


La fortezza di Gaeta

Il primo originario Castello di Gaeta fu probabilmente eretto nel VI secolo, durante la guerra dei Goti, ovvero nel VII secolo, quando le zone marittime del Lazio e della Campania erano oggetto delle mire di conquista dei Longobardi. Nei documenti d'archivio di quel periodo storico si inizia infatti a riferirsi a Gaeta con l'appellativo di "Castrum".

Notizie certe dell'esistenza del Castello di Gaeta si hanno peraltro solo al tempo di Federico II di Svevia, il quale, durante il periodo delle lotte col papato, soggiornò in diverse occasioni a Gaeta, e, intuendone la importante posizione strategica, nel 1223 ne fece fortificare l'originario castello.

La struttura attuale, su una superfice di circa 14.100 mq, è detta Castello Angioino-Aragonese, perché composta da due edifici principali comunicanti realizzati in due momenti storici diversi, uno più in basso che risale al periodo angioino, e uno più in alto, fatto costruire dall'imperatore Carlo V insieme ad altre opere militari volte al rafforzamento della piazzaforte di Gaeta.

Nel 1435, quando Alfonso d'Aragona fece di Gaeta la base per la conquista del trono di Napoli, il castello Angioino fu ampliato ed unito ad un nuovo castello.

Con la dominazione spagnola, iniziata nel 1504, il ruolo di Piazzaforte del Regno di Napoli fu ancor più accentuato, e la città fu dotata di nuovissime fortificazioni con possenti bastioni, progettate per resistere alle ultime e più potenti armi da fuoco. Nel 1734, infine, Gaeta fu conquistata da Carlo di Borbone, fondatore del Regno di Napoli.

La fortezza di Gaeta ha subito nel corso dei secoli ben quattordici assedi, a partire da quello che condusse alla sconfitta del ducato di Gaeta e susseguente annessione al Regno di Sicilia, fino a quello del 1861 da parte delle truppe piemontesi: il 13 febbraio 1861 Francesco II, ultimo Re di Napoli, si arrese, capitolando all'assedio delle truppe del generale Cialdini. Con la caduta dell'ultimo baluardo del Regno cessò così di esistere il Regno delle Due Sicilie.


La cittadella di Messina

La Cittadella di Messina  fu costruita nel '600 dagli spagnoli per tenere costantemente sotto controllo le frequenti sollevazioni popolari dei messinesi.

Per erigere la fortezza, nata su progetto dell'architetto olandese Carlos de Grunenbergh, venne scelto un punto strategico: quello dell'inizio del braccio di S. Ranieri.

I lavori di costruzione della Cittadella si protrassero dal 1680 al 1686. La costruzione, che risponde ai più avanzati criteri architettonici militari dell'epoca, è a pianta pentagonale, circondata dall'acqua per tutto il suo perimetro, ed ulteriormente rafforzata sui fronti nord e sud da bastioni a cuneo avanzati; queste caratteristiche la facevano ritenere un'opera praticamente inespugnabile.

La Cittadella, durante il Settecento e l'Ottocento, fu sempre al centro degli avvenimenti militari che coinvolsero Messina, e costituì uno degli ultimi baluardi del Regno delle Due Sicilie fino al 12 marzo 1861, data della resa agli invasori piemontesi dell'ultima guarnigione borbonica.

Risparmiata dalle guerre e dagli assedi, la Cittadella non ha potuto resistere all'incuria, le demolizioni e i saccheggi con cui, nel nuovo regno unitario, si volle abbattere, così come tanti altri, uno dei più noti simboli del periodo borbonico.

Della gloriosa fortezza restano oggi solo alcuni bastioni abbandonati e degradati.


La fortezza di Civitella del Tronto

La fortezza di Civitella del Tronto è una delle più imponenti opere di ingegneria militare mai realizzate sul suolo italiano.

In Europa è seconda per dimensioni solo alla fortezza di Hohensalzburg a Salisburgo: si estende sulla sommità di una cresta rocciosa per una lunghezza di 500 metri circa, una larghezza media di 45 ed una superficie complessiva di 25.000 mq.

Già intorno all’anno mille documenti d'archivio riferiscono di un castello presente nella parte più alta del colle, anche se la fortezza nasce come tale solo durante il successivo periodo Svevo, sviluppandosi poi sotto la dominazione angioina: la vicinanza al confine tra il Regno di Napoli e il nascente Stato Pontificio le conferiva infatti una grande rilevanza strategica.

Le prime notizie certe della fortificazione risalgono al 1255, quando gli Ascolani espugnarono l'originario castello, facente probabilmente parte dei sistemi difensivi del confine appenninico.

Successivamente la fortezza ha subito modifiche e ampliamenti, sino all'attuale sistemazione spagnola, compiuta a partire dal XVI secolo.

Gli assedi del 1798 e 1806 guastarono non poco le strutture, al punto che nel 1820 la Fortezza fu completamente restaurata, mantenendo peraltro il suo carattere strutturale tipicamente rinascimentale.

L'assedio del 1860-61, conclusosi il 20 marzo 1861 con la resa dell'ultima guarnigione borbonica, inflisse infine al Forte un colpo mortale, che, unito ai guasti e ai furti di materiali da costruzione che vennero perpetrati dopo la fine degli eventi bellici, portarono ad una devastante opera di demolizione.

Anche in questo caso, come per la cittadella di Messina, i vincitori vollero infatti abbattere uno dei simboli più noti e significativi della resistenza dell'esercito e del popolo delle Due Sicilie all'invasione piemontese, che sarebbe poi sfociata nel fenomeno ingiustamente definito brigantaggio.


 

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