Raymond Chandler, Il lungo addio

Il romanzo

Il lungo addio è un romanzo di Raymond Chandler pubblicato nel 1953. Tra i capolavori del genere hard boiled, ha per protagonista e voce narrante il detective Philip Marlowe. La trama del romanzo è piuttosto articolata: in breve, una sera Marlowe per caso si imbatte all’uscita di un locale di Los Angeles in Terry Lennox, un uomo con problemi di alcolismo e che ha un rapporto difficile con la moglie che proprio quella sera lo ha buttato fuori di casa. Marlowe decide di aiutare Lennox ospitandolo a casa sua per una notte. I due fanno amicizia e si reincontrano dopo qualche tempo finché una sera Lennox non si presenta a casa di Marlowe sconvolto e armato di pistola. Continuando a ripetere di non aver ucciso nessuno, chiede a Marlowe di accompagnarlo in Messico con la sua auto. Marlowe intuendo che qualcosa di terribile è accaduto alla moglie di Lennox, ma confidando nell’innocenza di questi, lo accompagna.
Una volta tornato a casa, Marlowe viene prelevato da due poliziotti (Green e Dayton) e portato alla centrale di polizia, dove viene interrogato dal capitano Gregorius.

Nel brano che segue viene raccontato l’interrogatorio subito da Marlowe da parte di un poliziotto che si discosta molto dalla figura tradizionale. Questi infatti utilizza metodi brutali per cercare di far confessare Marlowe, ma come vedremo, Marlowe riuscirà a modo suo a tenere testa al capitano Gregorius.

Il brano

Il capo della Squadra Omicidi era quell’anno un certo capitano Gregorius, un tipo di poliziotto che va facendosi più raro ma non si è affatto estinto, uno di quelli che risolvono i delitti con le luci abbaglianti, i manganelli di gomma, i calci nelle reni, le ginocchiate all’inguine, i pugni al plesso solare, le bastonate alla base della spina dorsale. [...]

In quel momento ero la sua vittima. Sedeva dietro la scrivania, senza giacca, con le maniche della camicia rimboccate fino alle spalle. Era calvo come un mattone e stava mettendo su pancia come tutti gli uomini muscolosi arrivati a una certa età. Aveva gli occhi di un grigio-pesce. Il grosso naso era tutto un ricamo di vasi capillari rotti. Stava sorbendo una tazza di caffè con gesti nervosi. Aveva il dorso delle tozze, forti mani, folto di pelo, e ciuffetti di peli grigiastri gli sporgevano dalle orecchie. Annaspò sula scrivania spostando alcune carte e guardò Green.

Green disse: “Abbiamo ottenuto un solo risultato, capo: non vuol parlare. Il numero telefonico ne fa un indiziato. E arrivato in macchina e non dice dove è andato. Conosce molto bene Lennox e non vuol dire quando lo ha visto l’ultima volta.”

“Crede d’essere un duro,” disse Gregorius con indifferenza. “Potremmo fargli cambiare idea."[...]

Mi guardò come se fossi un mozzicone di sigaretta, o una sedia vuota. Un oggetto qualsiasi, capitatogli davanti agli occhi, che non rivestiva per lui il minimo interesse.

In tono rispettoso, Dayton disse: “Appare chiaro che tutto il suo atteggiamento ha avuto lo scopo di determinare una situazione in cui potesse rifiutarsi di parlare. Ha citato la legge a suo favore e mi ha provocato inducendomi a percuoterlo.”

Gregorius lo sbirciò, gelido. “Dev’essere facile provocarvi, se ci riesce questo imbecille. Chi gli ha tolto le manette?”

Green disse di essere stato lui. “Rimettetegliele,” disse Gregorius. “Strette. Fate in modo che si svegli.”

Green mi rimise le manette, o meglio si accinse a rimettermele. “Dietro la schiena,” abbaiò Gregorius. Green mi ammanettò i polsi dietro la schiena. Sedevo su una dura sedia.

“Più strette,” disse Gregorius. “Che lo mordano.”

Green strinse ancora. Cominciai a sentirmi le mani intorpidite.

Finalmente, Gregorius mi guardò. “Ora potete parlare. E non tirate per le lunghe.”

Non risposi. Si appoggiò allo schienale e sogghignò. La mano di lui si allungò adagio verso la tazza del caffè e la strinse. Si chinò un poco in avanti. La tazza partì, ma mi sottrassi a essa gettandomi di lato giù dalla sedia. Caddi con violenza sulla spalla, rotolai su me stesso e mi rialzai adagio. Avevo ormai le mani completamente intorpidite. Avevano perduto il senso del tatto. Le braccia, sopra le manette, cominciavano a dolermi.

Green mi aiutò a rimettermi a sedere. Il caffè aveva bagnato in parte lo schienale e il fondo della sedia, ma per la maggior parte s’era versato sul pavimento.

“Il caffè non gli piace,” disse Gregorius. “E svelto. Si muove rapidamente. Ha buoni riflessi.”

Nessuno fiatò. Gregorius mi fissava con quei suoi occhi da pesce.

“Qui dentro, amico, una licenza da investigatore privato non ha più importanza d’un biglietto da visita. E adesso, fuori questa dichiarazione, in un primo momento verbale. La trascriveremo in seguito. E che sia completa. Dateci, diciamo, un resoconto completo dei vostri movimenti a partire dalle dieci di ieri sera. Dico completo. [...] Voi siete a conoscenza di certi fatti, e io li voglio. Avreste potuto negare e io avrei potuto non credervi. Ma non avete neppure negato. A me non la date a bere, amico mio; siatene certo. Avanti, parlate.”

“Mi fareste togliere le manette, capitano?” domandai. “Se facessi una dichiarazione, voglio dire.”

“Potrebbe darsi. Siate breve.”

Se vi dicessi che nelle ultime ventiquattr’ore non ho veduto Lennox, che non gli ho parlato e non ho idea di dove possa trovarsi... questo vi soddisferebbe, capitano?”

“Forse... se vi credessi.”

“Se vi dicessi che l’ho veduto, e dove, e quando, ma senza sapere che aveva assassinato qualcuno, o che un delitto era stato commesso, e per di più che non ho idea di dove possa trovarsi in questo momento, non ne sareste adatto soddisfatto, vero?”

“Se mi deste maggiori particolari, potrei ascoltare. Se diceste dove, quando, che aspetto aveva, di che cosa avete parlato, dove era diretto. Si potrebbe approdare a qualcosa.”

“Con i vostri sistemi,” dissi, “si approderebbe probabilmente a fare di me un complice.”

Gli si gonfiarono i muscoli della mascella. Aveva gli occhi di un ghiaccio sporco. “E allora?”

“Non so,” dissi. “Vorrei consultarmi con un avvocato. Sarei disposto a collaborare. Che ne direste se facessimo venire qui qualcuno dall’ufficio del procuratore distrettuale?”

Fece udire una breve, rauca risata. Ma smise subito. Si alzò adagio e girò intorno alla scrivania. Si chinò verso di me, con una delle manacce sul piano della scrivania e sorrise. Poi, senza mutare espressione, mi colpì sul lato del collo con un pugno che parve di ferro.

Il colpo fu sferrato da non più di quindici o venti centimetri. Per poco non mi spaccò la testa. La bile mi affluì in bocca e sentii, mischiato ad essa, il sapore del sangue. Non udivo altro che un forte ronzio nel cervello. Lui si chinava su di me continuando a sorridere, la mano sinistra sempre sulla scrivania. La sua voce parve giungere da una lontananza remota.

“Ero duro, ma sto invecchiando. Avete preso un buon pugno, amico, non avrete altro da me. Abbiamo uomini, nel carcere cittadino, che dovrebbero lavorare nel macello. Forse non dovremmo tenerli perché non sono pugili cortesi e delicati come piumini da cipria sul genere del nostro Dayton, qui. E non hanno quattro marmocchi e un giardinetto coltivato a rose come Green. Le loro distrazioni sono ben diverse. Avete qualche altra divertente idea su ciò che potreste dire qualora vi decideste a parlare?”

“Finché rimarrò ammanettato no, capitano.” Fu doloroso pronunciare anche queste poche parole.

Si chinò ancor più verso di me; sentii l’odore del suo sudore, il puzzo di un alito fetido. Poi si raddrizzò, girò intorno alla scrivania, piantò sulla sedia le natiche massicce. Prese fra le mani una riga a tre spigoli e fece scorrere il pollice su uno degli spigoli come la lama di un coltello.[...]

Gregorius scoprì i denti, guardandomi. Avevano un gran bisogno di essere puliti. “Fuori di qui, collega.”

“Sì, signore,” dissi in tono cortese. “Probabilmente non ne avevate l’intenzione, ma mi avete fatto un piacere. Con la collaborazione dell’agente Dayton. Avete risolto un problema in vece mia. A nessuno piace tradire un amico ma con voi io non tradirei nemmeno un nemico. Siete non soltanto un gorilla, ma un incompetente. Non sapete condurre la più semplice delle indagini. Ero sul filo d’un rasoio, e avreste potuto farmi cadere da un lato o dall’altro. E invece avete preferito maltrattarmi, lanciarmi in faccia il caffè, prendermi a pugni quando non potevo fare altro che riceverli. D’ora in poi, non vi direi neppure che ora segna l’orologio a muro del vostro ufficio.”

Per qualche strana ragione rimase seduto del tutto immobile e mi lasciò dire. Poi sorrise. “Non siete altro che il solito meschino individuo che ha in odio la polizia, amico. Ecco quello che siete, investigatore da strapazzo, uno che ha in odio la polizia.”

“Esistono posti in cui i poliziotti non vengono odiati, capitano. Ma in quei posti voi non fareste parte della polizia.”

Raymond Chandler, Il lungo addio, traduzione di Bruno Oddera, Feltrinelli, 1987

Esercitazioni

1. Comprensione

I personaggi
Dalla lettura dei dialoghi cosa emerge sulla personalità dei personaggi? Sottolinea tutte le frasi che rappresentano il capitano Gregorius e tutte le frasi che esprimono i pensieri e gli stati d’animo di Marlowe e descrivi le figure dell’investigatore e del poliziotto che emergono dal testo.

L’ambientazione
La scena si svolge in una stazione di polizia, in particolare nell’ufficio del capitano Gregorius. Perché secondo te l’Autore ha voluto usare questa ambientazione?

2. Analisi

I personaggi
Nel brano che hai appena letto Gregorius vuole delle informazioni da Marlowe. Perché secondo te Marlowe si rifiuta di collaborare?

Il metodo investigativo
Nel brano viene descritto il metodo di indagine della polizia ma non viene descritto in maniera esplicita quello di Marlowe. Sulla base del suo comportamento nei confronti del capitano Gregorius, fai un’ipotesi sul metodo di indagine di Marlowe.

3. Produzione

I personaggi
Confronta la figura del poliziotto descritto in questo testo con i poliziotti protagonisti dei brani di Varaldo e di Gadda riportati in questa sezione. Quali analogie e quali differenze trovi?

L’opera
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