Il noir

Il termine noir deriva dal francese e significa nero. I romanzi neri presentano alcuni punti di contatto con l’hard boiled: la presenza di temi angosciosi, la morte, la solitudine dell’uomo nella metropoli, la sconfitta, ma si discosta dal giallo classico perché lo scopo dell’autore non è più raccontare la soluzione di un crimine, ma immergere il lettore in una realtà cupa, corrotta e violenta, dove il protagonista non è più necessariamente un detective privato o un poliziotto, ma spesso è addirittura un criminale. Solitamente nel noir non ci sono misteri da risolvere e quando ci sono, la soluzione del crimine passa quasi in secondo piano rispetto all’atmosfera che avvolge i personaggi. Le differenze si riflettono anche nei finali: mentre quello del giallo classico ristabilisce l’ordine delle cose messo in discussione dal delitto, il finale di un noir è poco consolatorio, anzi spesso addirittura un finale non c’è e non c’è soluzione al caso. Il punto di vista della storia è l’altra differenza importante: volendo semplificare, il giallo è la storia raccontata dai buoni, mentre il noir è la storia raccontata dal punto di vista dei cattivi.

Tra gli scrittori che hanno fatto la storia del noir vanno ricordati Cornell Woolrich, David Goodis, Jim Thompson. Oggi i principali autori sono James Ellroy, con i 4 romanzi della cosiddetta Quadrilogia di Los Angeles, Joe R. Lansdale e Patricia Highsmith.
Tra gli autori italiani ricordiamo tra gli altri Giorgio Scerbanenco e Leonardo Sciascia, che con le sue opere più famose Il giorno della civetta (1961), Todo modo (1974) e Una storia semplice (1989) utilizza il meccanismo narrativo del giallo per raccontare la cornice sociale italiana e siciliana. L’investigazione diviene quindi un espediente per raccontare una società malata. L’autore non dà più risposte ma pone al lettore delle domande inquietanti che implicano risposte altrettanto allarmanti. Per esempio, quando nel 1960 Sciascia pubblicò Il giorno della civetta, in cui già descriveva il fenomeno mafioso, il governo italiano ne negava ancora l'esistenza della mafia, malgrado esistessero già documenti che dimostravano il contrario. Celeberrimo rimane il dialogo tra i due antagonisti: il capitano Bellodi, che sta indagando su un delitto mafioso, e il boss Don Mariano Arena, che così spiega al capitano la sua particolare visione del mondo:

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo...»

Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1972

Dal romanzo è stato tratto l’omonimo film di Damiano Damiani (1968), con Franco Nero e Claudia Cardinale. Anche le altre due opere citate sono state portate sul grande schermo: Todo modo (1975) di Elio Petri, con Gianmaria Volonté e Marcello Mastroianni, e Una storia semplice (1991) di Emidio Greco, con Massimo Dapporto, Ennio Fantastichini e lo stesso Volonté.

Un altro autore italiano che merita di essere citato per aver indagato il lato oscuro della società italiana è senz’altro Giorgio Scerbanenco, autore romano di origini ucraine che nei suoi romanzi descrive la parte malata del boom economico italiano[1], ambientando le sue storie nella Milano degli anni ‘60, una città cupa e violenta dove inizia a farsi strada una criminalità sempre più spietata e sanguinaria. Scerbanenco descrive

tutte le contraddizioni di un’Italia che vale anche oggi, quella dei poveri cristi, degli emarginati, degli alienati e degli indifferenti nascosti tra le pieghe di un paese inebriato dal boom economico delle prime lavatrici e delle prime seicento, quella di una criminalità nuova assurdamente feroce, senza più pudore e senza più paura, quella del potere, delle coperture politiche e degli insabbiamenti, quella della brava gente “dolorante e disperata”

lettera di Carlo Lucarelli a Giorgio Scerbanenco

Con i romanzi del ciclo di Duca Lamberti - Venere privata (1966), Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi ammazzano al sabato (1969) - Scerbanenco segna una rottura con la tradizione precedente del giallo italiano e riesce a creare un modello originale in grado di stare alla pari con gli hard boiled americani. Dalla sua sterminata produzione letteraria, saranno tratti molti film di successo, tra cui Milano calibro 9 (1972) di Fernando Di Leo, con Gastone Moschin, Barbara Bouchet e Mario Adorf.


Gastone Moschin nel film Milano calibro 9 di Fernando Di Leo.

Il noir ha conosciuto una grande fortuna anche al cinema. Negli Stati Uniti, negli anni ‘40 e ‘50 attinse a piene mani dalle opere letterarie hard boiled di Hammett, Chandler, Woolrich ed altri, mentre in Italia conobbe un grande successo negli anni ‘70 in una forma più violenta come puoi vedere nel documentario di Sky Cinema che ti proponiamo.


Video: Italia '70, Il cinema a mano armata (53:46)