Alessandro Varaldo, Il demone del perché

Il racconto

Nel 1935 Mondadori cominciò la pubblicazione di un settimanale di narrativa e cronaca poliziesca, intitolato “Il Cerchio Verde” . Si trattava di una rivista che univa racconti gialli, fotogrammi tratti da film polizieschi, schizzi disegnati da maestri del cartoon, fotografie. La pubblicazione aveva l’obiettivo di far nascere anche in Italia il genere poliziesco, accontentando la propaganda fascista che voleva privilegiare il prodotto autarchico anche in letteratura.
Alla rivista collaborarono alcuni dei primi giallisti italiani: Varaldo, Spagnol, Antonelli tra gli altri. “Il Cerchio Verde” , tuttavia, ebbe una breve vita: fu chiusa nel 1937, sia perché il Ministero della Cultura Popolare volle vietare il genere poliziesco in Italia, sia perché gli autori non riuscirono ad eguagliare in maniera soddisfacente il prodotto anglosassone e ad appassionare i lettori.

Il brano

Il racconto si intitola Il demone del perché e ha come protagonista uno dei due personaggi fissi di Varaldo: il commissario di polizia Ascanio Bonichi. Il commissario, accompagnato da un amico che funge da narratore, si reca in visita al barone d’Hofer. Il barone è rimasto vedovo, in conseguenza di un misterioso incidente stradale a bordo della sua potente auto insieme alla moglie. Il barone era rimasto gravemente ferito, mentre la moglie, uscita dall’incidente quasi illesa, era morta qualche tempo dopo per uno “choc nervoso” .
Il malinconico e taciturno barone invita i suoi ospiti a pranzo e, davanti a pietanze raffinate e vini preziosi, i tre fanno conversazione. Bonichi comincia a raccontare degli inizi della sua carriera:

Ho incominciato la mia carriera, a ventidue anni o poco più, in una dolce sottoprefettura fra il Ticino e il Po. La pubblica sicurezza vi era tutelata da un vecchio delegato carico di famiglia e gottoso, da me, alunno, e da cinque carabinieri, di cui due sempre a cavallo. Né un agente, né un soldato. Del resto la sicurezza pubblica non si tutelava meglio, così mi insegnò il vecchio delegato col piede fasciato sul seggiolino, che con le pratiche. La pratica è l’incartamento relativo a un soggetto qualsiasi: bisogna curarle, spolverarle, chiuderle in una copertina grigia o gialla o bianca, legarle con la fettuccia – lo spago taglia la carta – e tenerle in evidenza, cioè farle tornare sullo scrittoio al quindici o al trenta del mese. Ricordo d’aver sollecitato risposta sul recapito d’un famoso delinquente, superstite della banda di Mano della Spinetta, e morto d’almeno trent’anni.

Il barone approvò, gli versò da bere, e poi a me, ed a se stesso.

- il Ministero, - continuò Bonichi – non ci lasciava addormentare davvero: ci svegliava con la richiesta delle statistiche. E guai se si mandava indietro un prospetto col famoso Nulla. Non ci credevano. A Genova si scopriva nella sentina d’un veliero in demolizione un grosso topo lercio? Statistica sulla peste bubbonica. Ed io, incitato a dovere dal sottoprefetto, scoprii dei sorci d’acqua dolce, nelle risaie, con glandole gonfie, sospette. Un successone!”

Io risi ed il barone si colorò leggermente, segno d’una portentosa ilarità contenuta. Ascanio ringraziò:

Vedo che diverto e non domando di meglio, ma in quei tempi non ero allegro, no! I miei sogni cadevano come castelli di carte. Che m’era valso leggere avidamente Gaboriau e Conan Doyle, per legar pratiche di sovversivi, o di evasi dalla galera e dalla vita? Volevo a tutti i costi la mia emozione poliziesca, mettere in pratica una mia teoria dedotta dal Poe. Ricordate due novelle del fantasioso e logico scrittore: Il Demone della perversità e l’Angelo della Bizzarria? A furia di leggerle e di spremerle e di farne una composta insieme al Mistero di Maria Roget, ne avevo tratto la mia, di teoria, che mi pareva un portento...

Quale? - domandò il barone. Segno di una spasmodica attenzione, per quell’apatico.

Il demone del perché - rispose Ascanio.

Il perché?

Strano! Due interruzioni di fila. Che ci fosse ancora un po’ di sangue in quel corpo tutto linfa?

Già: il perché! Secondo la mia teoria non ci poteva essere né fatto né azione, e nemmeno atto o pensiero o parola, per quanto inconcludente, senza un perché. Noi, così costruivo la mia teoria, tendiamo dopo il frutto proibito dell’Eden, a cercar la ragione di tutto. L’ordine è procreato da un perché. Gli astronomi, i geologi, i clinici, i matematici, gli artisti cercano sempre un perché, l’anello che congiunga due fatti, il fattore primo, quello che Leonardo chiama primo motore...

[...] Una volta esposta la sua teoria investigativa, il commissario racconta di una sua indagine: un ragazzo, uscito con alcuni amici per una gita, non aveva fatto più ritorno a casa. Era stato trovato morto, annegato in pochi centimetri d’acqua in un tombino, nel quale era caduto a testa in giù, e con accanto un bastone. Il commissario interroga gli amici, in particolare un ragazzo che era stato in compagnia della vittima fino alla piazza del Municipio e che dichiara di essersene poi separato e di non spiegarsi l’accaduto.

Come finì? Il compagno della piazza del Municipio fu preso ad un tratto da un violento assalto epilettico

Ah!

Già: ce ne volle a tenerlo! E ciò mi permise di ricostruire il fatto. In prossimità della roggia il superstite fu assalito dal male. Acquista una forza enorme l’epilettico durante l’accesso. L’altro volle soccorrerlo e fu spinto... Vi risparmio la mia ricostruzione. Soltanto, colui che aveva ucciso, non si ricordò più nulla. Camminò in preda all’accesso. Rinvenne in piazza del Municipio. La sua coscienza, ricollegandosi al momento del distacco dal compagno, gli fece credere di essere rimasto solo per ritorno a casa dell’altro, la cui abitazione era proprio vicino al Municipio. Come vede, barone, il mio demone del perché fu vinto buffamente...

Perché buffamente?

Perché – la voce di Bonichi era tranquilla – fu vinto da... scusi... da un senza perché... da un caso di epilessia e lei sa che l’epilessia non lascia memoria... chi ne soffre non lo sa... Nessuno lo sa. Gli stessi famigliari lo ignorano... finché un accesso non intervenga...

Il barone stesso, a questo punto, viene colto dallo stesso attacco epilettico del ragazzo descritto, spiegando così anche la misteriosa morte della moglie, turbata nel vedere il marito trasformato dal male.

Gianfranco Orsi (a cura di), Telefoni bianchi, delitti neri, Mondadori, 2001

Esercitazioni

1. Comprensione

L’ambientazione
Nella prima parte del testo il commissario descrive le modalità di lavoro della polizia. Come si svolge il lavoro nel commissariato? Che giudizio traspare dal racconto?

Il metodo investigativo
Illustra la teoria del commissario sul “demone del perché” : qual è la teoria investigativa che propone? Quali sono i riferimenti letterari che vengono citati? Nella seconda parte del testo il commissario racconta di una sua indagine. Il racconto conferma la sua teoria investigativa?

2. Analisi

Il linguaggio
Analizza il lessico utilizzato nel testo: risulta di facile comprensione? Concentrati ora sulla sintassi: ti sembra scorrevole?

I personaggi
Analizza i personaggi rappresentati nel testo. Come descrivi questo investigatore? Che ruolo ha la malattia nel testo? In che modo caratterizza i colpevoli?

3. Produzione

Gli autori
Accedi a Internet e utilizza un motore di ricerca per trovare ulteriori informazioni sugli autori e sui testi citati dal commissario: prepara poi una breve presentazione che illustri ai tuoi compagni le principali differenze tra il poliziesco anglosassone e il testo che ti è stato presentato.

La trama
Accedi a Internet e copia sul tuo computer le venti regole per scrivere romanzi polizieschi di S.S. Van Dine. Fai un confronto con la trama poliziesca proposta in questo brano da Varaldo, indicando se ciascuna regola è stata rispettata o meno.